Non basta non essere mafioso

Bah…devo dire la verità, a me tutta questa retorica celebrativa crea un terribile fastidio. Non voglio e non posso dire – non ne sono capace- se sia giusto o sbagliato ricordare Falcone e Borsellino in questo modo spettacolarmente televisivo. Quello che voglio esprimere è una mia personale e insignificante posizione. Il mio solo stato d’animo. Ebbene, in tutti questi anni sono stato capace di partecipare a manifestazioni antimafia pochissime volte: non sopporto, in queste occasioni, l’idea di condividere, di stare accanto ad altre persone della mia città. Chi, come me, vive da 60 anni a Palermo sa benissimo che il confine tra comportamenti virtuosi e comportamenti deplorevoli nella propria vita e nel proprio lavoro è di una esilità così minuscola, di una fragilità così evidente che mi spinge ad un pudore tale da farmi sembrare esibizionismo anche l’esposizione del simbolico lenzuolo al balcone. Si può essere veramente “antimafia” a Palermo? La domanda non deve sembrare strana: chi lavora in questa città non può fare a meno di entrare in contatto più o meno diretto con personaggi discutibili o con flussi di denaro di non certissima provenienza. Questo è vero per un professionista autonomo (dall’ingegnere all’idraulico e al medico…) così come per il funzionario o il dirigente di un ente pubblico. Non basta non essere mafioso o fiancheggiatore dei mafiosi: siamo immersi in un flusso economico del quale non è parte trascurabile il sommerso derivante dalle attività illecite. La nostra società, le nostre frequentazioni sono “drogate” da questo fenomeno. Può un imprenditore trascurarlo? Può farlo un politico? Certamente no. Ma non dobbiamo pensare necessariamente a cose grosse e costose: sappiamo che il panino che compriamo contribuisce a pagare un pizzo? Abbiamo mai fatto ricorso ad una conoscenza per una pratica lenta o per prenotare un servizio? La risposta è “si”, l’abbiamo fatto tutti. E allora il rischio e il sospetto, durante una manifestazione antimafia, di trovarmi accanto ad una intollerabile ipocrisia mi fa desistere dal parteciparvi. Come si esprime allora il tuo essere e il tuo impegno antimafia, mi si potrà domandare. La mia risposta è: col senso etico del mio lavoro e col mio voto. Con la personale condotta di vita. Altre possibilità non ne ho. Questa è la mia personale quotidiana testimonianza.

Re-branding e spirito del 68

Leggo oggi ad opera di Christian Salmon il contributo forse più interessante tra i tanti spesi per cercare di interpretare il significato e le conseguenze dell’attentato di Parigi dello scorso 11 gennaio. Ne riporto qui alcuni passaggi.

«Ci è stata messa sulle spalle una carica simbolica che va un po’ oltre ciò che siamo», ha dichiarato Luz, uno dei disegnatori superstiti della redazione di Charlie Hebdo. «Io sono tra coloro che si sentono a disagio. In definitiva, la carica simbolica attuale è tutto ciò contro cui Charlie ha sempre lavorato: distruggere i simboli, far crollare i tabù, smascherare i fantasmi. Con la differenza che oggi il simbolo
siamo noi.
L’irriverenza si è trasformata in oggetto di adorazione, l’impertinenza in obbligo e persino in compito scolastico. Il disegno sacrilego è stato sacralizzato e la guerra santa barbarizzata. Informazione e insegnamento sono stati mobilitati, ironia e sarcasmo sono diventati una materia obbligatoria. L’intoccabile è emerso ovunque. I militanti della matita hanno preso ad assomigliare a dei pellegrini in cammino, con i loro bastoni: dei penitenti del ridere. La Republique, rispettosa, ha brandito l’ostensorio del ridere davanti alle folle in processione…
… la messa anti-terroristica si presta ad essere letta come un’Eucaristia patriottica. Consuma i simboli della fede repubblicana e opera una vera e propria transustanziazione: “Questo è il mio corpo” “Io sono Charlie”. Il corpo di Charlie. Il marketing non fa che parafrasare il testo del Testamento, o profanarlo.
… lo spirito dell’11 gennaio ha preso il posto dello spirito del Maggio. Le matite hanno preso il posto dei sanpietrini (quelli lanciati nelle manifestazioni del 1968, ndr), e la strada si è svuotata per accogliere un manipolo di capi di Stato, che comprendeva una ragionevole percentuale di censori e dittatori. Si è assistito al tempo stesso alla rivolta e al ritorno del bastone, a “Io sono Charlie” e al caos, al Maggio ‘68 e al giugno ‘68 (quando De Gaulle vinse le elezioni, ndr). Lo spirito di rivolta si è affidato all’ordine repubblicano, una rivolta antiautoritaria ha assunto i tratti di una richiesta di autorità, l’insorto è diventato un venditore. L’hashtag virale si è imposto su migliaia di slogan. Vi sono stati contemporaneamente rivoluzione e restaurazione, ordine e insurrezione…