Manifesto degli insegnanti, qualche considerazione

Questo post nasce da uno scambio di battute su Facebook in merito al “Manifesto degli Insegnanti” che è stato recentissimamente pubblicato ad opera del network “La scuola che funziona“. L’idea che sta alla base del “Manifesto” è quella di creare, per gli insegnanti , quello che per i medici è il “giuramento di Ippocrate”. Lo scopo è certamente condivisibile, mi spiace solo non aver avuto il tempo materiale per potere, anche minimamente, contribuire. Tuttavia qualcosa, nel manifesto, non mi piace, non mi convince, lo avevo appunto accennato ad Andreas Formiconi che ieri ha esposto le ragioni dell’adesione in questo illuminante post. Se interpreto correttamente, l’affermazione fondamentale di Andreas è la seguente: la scuola ha sino ad ora svolto un compito che comporta, forse addirittura prevede, un processo di appiattimento delle caratteristiche personali ed individuali degli alunni in favore della creazione di categorie di lavoratori: il ragioniere, il medico, l’impiegato, l’ingegnere e via dicendo. Le godibilissime citazioni portate a sostegno di questa affermazione sono, da par suo, colte ed appropriate. Il “Manifesto degli insegnanti” potrebbe allora contribuire a mutare questa certo non esaltante situazione in quanto introduce il rispetto per la vita, il rispetto per la verità (non dogmaticamente intesa), il rispetto per l’errore. Concordo pienamente e condivido, pienamente convinto, della necessità che a scuola si coltivino tutte e tre queste forme di rispetto.

Tuttavia i motivi della mia perplessità a sottoscrivere il “Manifesto” permangono. Non me ne vorranno gli amici de “La scuola che funziona” che stimo e per i quali nutro un sentimento di gratitudine, ciò che adesso dirò è animato dalle migliori intenzioni.

Al punto numero 1 del manifesto leggo:  Amo insegnare. Amo apprendere. Per questo motivo sono un insegnante. Bellissimo, certamente, ma mi viene un dubbio: dobbiamo allora intendere che l’insegnamento non può essere una professione? Siamo ad una diversa formulazione della frase fare il docente è una missione che sentiamo da sempre? Certo piacerebbe a tutti poter lavorare facendo ciò che più si ama, ma quanti sono quelli che vi riescono?

Al punto 2 un’altra affermazione forte secondo la quale il docente che non fosse più capace di suscitare la meraviglia innata nell’alunno dovrebbe cedere il posto. Mi sembra un pò troppo categorica; e poi, cosa non trascurabile, di che vivrebbe? Teniamo famiglia . . . qualcuno direbbe. E poi, sinceramente, mi sembra una affermazione poggiata sulla buona volontà e poco realistica: la scansione delle attività scolastiche in giorni e ore prefissate è, già da sola, garanzia di noia assicurata! Per farlo capire ai miei alunni (me lo permetto perchè sono grandicelli, diciamo dai 16 ai 20 anni) dico loro che se dovessero, obbligatoriamente, fare l’amore con la fidanzata più desiderabile dalle 9 alle 10 del lunedì, dalle 12 alle 14 del mercoledì e alle 8 del sabato, così come succede per una qualsiasi materia di insegnamento, bè, sono sicuro che non ne potrebbero più già dopo poche settimane! Figuriamoci per nove mesi di fila! Insomma, voglio dire che la stessa organizzazione di base della scuola contraddice al principio del rispetto della persona. Nel manifesto sembra che il docente possa ergersi eroicamente a superare a piè pari anche questo ordine di difficoltà.

Non mi pare il caso, nè mi sembrerebbe corretto, fare adesso una disamina di tutti i punti. Mi limiterò a notare che ai punti 11, 12 e 13 si legge:  lotterò, resterò fedele, aiuterò ad illuminare . . . sinceramente, mi sembrano affermazioni piuttosto “calcate”. Mi sembra che ne emani la visione di un insegnante con uno smisurato ego e con una concezione di sè ispirata all’epico guerriero.

Per questo non riesco a trovare sufficiente empatia per firmare.

Autore: Carlo Columba

Nato (1956), cresciuto e vissuto a Palermo ma certamente non "palermitano doc", piuttosto mi sento pronto per un trasferimento in svizzera… Insegno elettronica negli istituti tecnici industriali ma provengo da esperienze di progettazione e produzione nel campo della multimedialità sequenziale e interattiva. Amante della natura e del silenzio da sempre coltivo la fotografia come personale e indispensabile autoterapia.

9 pensieri riguardo “Manifesto degli insegnanti, qualche considerazione”

  1. Caro Carlo, condivido molte delle tue obiezioni. Le ho in parte esplicitate anch’io in un post che Andreas ha avuto la cortesia di citare nella sua ultima nota).
    I toni “epici” e “fiammeggianti” non piacciono neanche a me.
    Sono stato molto indeciso ma, come dicevo nel mio post, alla fine ho deciso di firmare.
    Ho creduto fosse giusto, per una volta e in questo momento davvero particolare per il nostro mondo, lasciarsi un po’ andare e unirsi ad un coro “positivo”.
    Magari nel ruolo di …baritono, lasciando ad altri gli acuti tenorili 🙂

  2. Carlo, io credo che il tuo commento sia non solo legittimo, ma comprensibile.
    Non hai detto una parola fuori posto.
    Semplicemente il manifesto non fa vibrare le corde della tua sensibilità.
    Io posso dirti che mi rendo benissimo conto che lo spirito che aleggia dietro il manifesto è quello di un insegnante eroe che cerca di ribellarsi quotidianamente alla mortificazione del proprio ruolo. Io in questo spirito mi ritrovo perfettamente. Io a scuola devo lottare ogni giorno con tutto e tutti per non conttravvenire a tutto quello in cui credo.
    Per giunta io non credo a priori che si debba insegnare (nè fare altri lavori) solo per sfamarci e portare soldi a casa.
    Io credo che ci siamo abituati a pensare che tutta questa sofferenza sul lavoro sia inevitabile. E invece questa sofferenza l’abbiamo creata noi. Noi uomini. Arriverà anche il giorno in cui invertiremo la rotta?
    C’è davvero un uomo nuovo dietro quel manifesto. Si tratta solo di riconoscersi o meno in quell’uomo 😉
    ciao!

  3. A proposito del Manifesto, osservavo proprio oggi come la figura del docente “tracimasse” in quella del mentore… E questo mi solleva parecchi dubbi.

  4. Maria Grazia, puoi spiegare meglio cosa intendi dire con questo?

    In generale, Carlo, probabilmente è una questione di sensibilità personale.

    Forse è proprio perché, inconsciamente, paventavo che l’insegnamento sarebbe stato per me troppo coinvolgente, che per i primi vent’anni ho fatto il ricercatore rifuggendo i compiti didattici.

    Poi, quando ho dovuto, l’ho fatto come io posso fare, cioè con totalità. Oppure non lo faccio. Le mezze misure non sono per me. E nemmeno il battibecco con figure o categorie che mi sembrino vuote.

    In uno dei vari diverbi col mio babbo, quando avevo 18 anni, io criticavo la vita famigliare dei miei e dei loro conoscenti perché mi pareva senza “tensione”, appoggiata al piccolo cabotaggio degli obiettivi minimali. Il babbo sosteneva che la vita è fatta anche di routine e di sopportazione.

    Sarebbe inutile capire dov’è il giusto: io a 55 anni sono rimasto esattamente lo stesso e il babbo a 83 idem. Sono modi diversi di vedere il mondo. Io nella routine muoio, devo per forza darle senso. La sopportazinoe può essere solo breve, la devo prima o poi volgere in evoluzione, a costo di fracassarmi la testa. Non è eroismo o ansia, mi viene così e basta.

    Il programma che era logico fare nell’insegnamento di informatica l’ho fatto per due o tre anni, ma già introducendo contaminazioni, poi è diventata un’altra cosa, istituzione o no. Non poteva che andare così.

    Quindi è ovvio che se mi provo a pensare al problema generale lo affronti con questa tonalità. Ma non ci vedo questa ossessione epica o eroica, che mi fa abbastanza ribrezzo. Ci vedo, ci sento il trasporto per l’altro essere umano. Poco mi affligge tanto quanto parlare a dei giovani rendendomi conto che non sta succedendo niente. E poco mi gratifica tanto quanto vedere che mi ritorna qualcosa addirittura moltiplicato da loro.

    Non tutte le espressioni del manifesto mi piacciono. La mia versione era più asciutta e addensata intorno a quei tre punti che ho scritto nel mio post.

    Ma l’ho sottoscritta perché doveva essere un’espressione comune e nella comunità non si può pretendere che un’espressione generale coincida con la propria.

    E’ troppo grande per me il valore che una manciata di frasi sull’essenza delle questioni sia derivata da un assembramento spontaneo di persone. Di fronte a questo valore non ha senso che inizi a dire ma ci vuole questo e poi anche quest’altro. Quelli son principi generali, il resto discenderà. I particolari verranno e dipenderanno da un numero di contesti. State pur certi che se si riuscisse ad attenersi solo un po’ a quei principi cambierebbero tantissime cose.

    Lottare. Certo ma non è questione di epica. Il muratore che sta togliendo col mio aiuto la ceppa qui sotto casa mia, ci sta lottando, perché un uomo che cerca di superare un ostacolo lotta. Una madre lotta per proteggereo il figlio. Non si possono risolvere problemi veri in scioltezza o in sicurezza, al di là delle banalità. Io ho lottato con tutti i problemi che ho affrontato da ricercatore. Lotto nel senso che mi impegno credendoci.

    Resterò fedele. Non mi appartiene ma, appunto, in un documento comune non ci può essere tutto e solo quello che voglio io.

    … a illuminare il futuro leggendo il passato e vivendo in pienezza il presente.. Questa è proprio mia, parola per parola. Ed è il senso della vita di un uomo, per me. Cercare di gettare un barlume di luce sul futuro prossimo sulla base dell’interpretazione del passato a me noto cercando di assaporare il frutto del presente.

    Che c’è di calcato in questo?

  5. @Andreas
    Esemplificando brevemente (e chiudendola qui): non si è necessariamente inadatti all’insegnamento della fisica se si scopre di non assomigliare a Feynman. 🙂
    @Carlo
    grazie per l’ospitalità 🙂

  6. Sono io che ringrazio tutti voi per aver voluto dare considerazione e seguito alle mie riflessioni! 🙂

    @Andreas
    Tu sei certamente un docente (e una persona) fuori dal comune, apprezzo molto tutto ciò che dici anche rimanendo in parte su posizioni diverse.

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