Maggot Brain

 

Ci sono delle creazioni che acquistano in noi un valore particolare: l’altro giorno ho per caso riascoltato “Maggot Brain”, bellissimo, ricavandone delle sensazioni più estese del solito. Gli amanti del rock conoscono bene tutte le sfumature di sentimento ed emozioni che il genere provoca sugli ascoltatori: qui il brano è dominato quasi interamente dallo spettacolare assolo della chitarra elettrica di Eddie Hazel che ci inchioda con una sensazione dolce e insieme straziante. Si, questo suono, quella chitarra, ci colpiscono lasciandoci senza difesa alcuna, rapiti. La mia sensazione è stata quella di trovarmi ad avvertire in un solo colpo l’essenza dell’estetica giovanile degli anni 70. Pace e amore, comunione con la natura, niente barriere e nessuna indifferenza, l’utopia come unico sogno perseguibile. Ascoltando il brano tutto è tornato prepotentemente a galla, tutto il bello creato e concepito da quella cultura. Ed insieme ad esso un amaro, amarissimo senso di lutto per il massacro di quelle istanze compiuto senza pietà nei decenni successivi. L’abbiamo pagata cara, con la fine del sogno hanno avuto il sopravvento l’eroina, l’Aids e il suicidio. Il numero di morti è stato di gran lunga superiore a quello del Vietnam. Lo strazio è intatto, ce lo ricorda il suono prolungato della chitarra, quasi il lamento di un cetaceo sperduto che chiama il branco ormai arrivato all’altro capo del mondo.

Buon ascolto: Maggot Brain

Mois de la Photo

Di ritorno da Parigi, ho qualche ora di attesa a Fiumicino, provo a riordinare le idee di un weekend interamente dedicato alla fotografia.
IMG_1561.JPGCominciamo da Paris Photo, 169 gallerie da 35 paesi rappresentano i migliori fotografi “fine art” del mondo. Fine art sta per fotografia artistica, non (necessariamente) legata al mondo dell’informazione e della documentazione. Si tratta di una vera e propria fiera con tanto di marea umana che pascola senza molto capire e riuscire ad apprezzare. Ed in effetti apprezzare è difficile se dappertutto ricevi spintoni e devi far fatica per guardare un’opera senza una qualsiasi testa in mezzo. Tant’è, non so se i galleristi siano tanto contenti di una tale affluenza, i loro clienti sono persone di altra natura, diciamo meno “turistica”.
Per un bel pezzo mi sono quindo sentito piuttosto a disagio non riuscendo a godermi nulla di quanto esposto. Almeno sino a quando non ho deciso che dovevo essere molto più spregiudicato e politicamente scorretto, ho capito che dovevo assecondare il mio momentaneo arbitrio, trascurando quanto (in quel momento) non poteva interessarmi (per favore, basta con Irvine Penn e tanta, anche se importantissima,fotografia storica), ho capito che dovevo essere disincantato e affidarmi brutalmente alla sensazione immediata. E ho svoltato, per così dire, scoprendo che mi piacevano più di tutti i fotografi contemporanei giapponesi e coreani con opere vibranti dalla sensibilità estrema ed estremamente differente da quella occidentale. Ho preso appunto per ulteriori approfondimenti, almeno qualche libro vorrei riuscire a comprarlo.

Nella stessa giornata mi sono spostato dalla zona “commerciale” a quella culturale del Mois de la Photo e sono andato a Jeu de Paume, per la mostra di Garry Winogrand. Bella e interessante mostra, molto ben curata, senza dubbio, ma si tratta di un genere fotografico ormai molto noto il cui interesse probabilmente rimane fondamentalmente storico.

IMG_1564.JPGIeri, sabato, sono andato alla Mep, Maison Europeenne de la Photographie, a vedere principalmente la mostra di Tim Parchicov, “Suspense” e “Faux Horizons” di Alberto Garcia Alix. La prima è allestita in una sala buia dalle pareti scure. Le immagini sono stampate si supporto trasparente e retroilluminate. Suggestiva ma tuttosommato “perdibile”.
Falsi Orizzonti, dello spagnolo, è invece assai interessante anche se inevitabilmente risente di una certa dolorosità cattolica e di una sorta di machismo futurista. L’ho trovata molto stimolante.

Nel pomeriggio al museo Carnavalet per la raccolta di Michael Kenna su Parigi. Qui l’incanto è purissimo e assoluto, atmosfere delicate e sospese ma non desolate e rarefatte, una capacità di trattare anche temi classicissimi come i ponti sulla Senna in chiave sempre intrigante e mai banale, mai lasciandosi tentare dal “meraviglioso” o dal “bel paesaggio”. Beh, sulle qualità della fotografia di Kenna non ho certo bisogno di dilungarmi. Unico cruccio l’atmosfera rumorosa e poco ripettosa, cafonismo da gruppo turistico, cosa ben diversa dalla prima esposizione di Kenna che avevo visto qualche anno fa alla Biblioteque Nationale in una atmosfera praticamente mistica di silenzioso raccoglimento. Infine a Saint Germain, le gallerie più numerose dei panifici, che ospita per lo più autori della sezione “Off”.

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Ritorno alla base col velib (la bici comunale in affitto) con tanto di passeggiata su un lungo senna al crepuscolo 🙂

Un altro mondo

Perché?, si chiese. Perché? Ma ogni volta che cercava di capire, l’unica spiegazione che riusciva a darsi era una a cui aveva pensato molte altre volte. Senza che ce ne siamo veramente resi conto, un altro mondo si è sviluppato intorno a noi, pensò. E io, vivo e agisco nel mio lavoro come se fossi ancora nell’altro, in quello vecchio. Devo imparare a vivere in quello nuovo.

Mankell – Assassino senza volto

Pratiche scolastiche buone e cattive

Ho letto con piacere su insegnareonline l’intervento di Muraglia “Le buone pratiche” la cui lettura consiglio fortemente a tutti gli interessati delle faccende scolastiche.
Non potendo rispondere con un commento in quella sede lo faccio qui sul mio blog.

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Discorso decisamente complesso ma forse è possibile tentare qualche risposta.

Pratica “buona” e pratica “cattiva”: come distinguerle?
Citando te stesso direi che la generazione di senso può essere utilmente assunto come discrimine: buona è la pratica che genera senso, lo genera negli studenti e lo manifesta nell’intero processo di insegnamento -apprendimento. Al contrario “cattiva” è una pratica che non lo genera o addirittura che contribuisca alla generazione del “non-senso” delle tante ore passate sui banchi. Mi riferisco qui alla possibilità che alcuni nostri comportamenti da docenti possano addirittura essere dannosi. Conosciamo il fenomeno.

Valutazione della bontà di una pratica
Scarterei per intero l’apparato classico di verifica e valutazione e mi rivolgerei a qualcosa che ci dia una indicazione della modifica del comportamento dei diversi alunni mettendo in secondo piano la classica esposizione dei saperi, qualunque sia la forma che a questa esposizione vogliamo dare, per evidenziare invece “azioni” ed “elaborazioni”. E qui penso fortemente al valore della “esposizione” personale, esposizione nel senso di mettersi in gioco, esponendo i propri punti di forza come i punti di debolezza. La forma di questa esposizione potrebbe somigliare molto a ciò che succede sui blog e in genere sulla presenza di noi stessi on line. Promuovendo l’intervento degli studenti sui vari ambienti e sistemi della rete potremmo, credo, immediatamente notare quanto l’attività della classe sia stata rilevante per i singoli alunni. Lo vedremmo attraverso il racconto restituito dagli stessi alunni, così come attraverso la rielaborazione dei contenuti e delle pratiche (per l’appunto) cui gli alunni sono stati esposti. Qualcuno obietterà l’aspetto “pubblico” di questa interazione. Io credo che questo aspetto sia particolarmente premiante: in questo modo l’intervento diventa immediatamente “politico” , usando il termine per il suo significato di partecipazione alla vita della comunità. L’alunno mette pubblicamente in gioco se stesso col suo apparato di opinione e di pensiero e così facendo è costretto ad una elaborazione vera; l’alunno impara a mettere definitivamente da parte l’atteggiamento “scolastico” che possiamo riassumere brutalmente col classico pensiero da interrogazione: “… ma il prof cosa vuole che io dica”? In questo caso il prof non può voler niente e, già da solo, questo aspetto mi farebbe davvero ben sperare!