Lettera aperta ad Ezio Mauro

Caro Ezio, perdonami la confidenza ma quanto tu oggi scrivi (Dove porta quel pullman https://rep.repubblica.it/pwa/editoriale/2019/03/21/news/dove_porta_quel_pullman-222193474/ ) mi è così vicino che vorrei veramente abbracciarti. Vorrei che tutti lo leggessero. Ma perché questo possa accadere bisognerebbe riscriverlo! No, non sto facendo una critica, assolutamente no. Piuttosto mi piacerebbe che potessero leggerlo e capirlo anche i miei alunni, che non sono né stupidi né bambini: sono studenti di un uno istituto tecnico industriale. Li vedo ogni giorno da 28 anni, so che non sarebbero in grado di farlo. Ma non sono lettori di Repubblica! Potresti obiettare… Vero, ma sono sicuro che anche tra questi lettori molti avranno avuto qualche difficoltà di interpretazione. Hai ragionissima quando affermi Serve uno sforzo cognitivo! Oggi a scuola ci sforziamo proprio in questa direzione: arricchire la vita dei nostri studenti con qualcosa che consenta loro di superare i limiti dell’istintivo e del comportamentista. La maggior parte di loro vuole, in buona fede, essere puramente addestrato a far qualcosa, come se la vita professionale potesse limitarsi a sapere quali sono i bottoni da pigiare (o da cliccare). Ci sforziamo di convincerli che capire è necessario e anche possibile. Per questo ti esorto a riscrivere il tuo magnifico articolo in un linguaggio che richieda una padronanza della lingua italiana a livello un pochino più elementare. Anche a costo di perdere qualche sfumatura e qualche raffinatezza. Sono sicuro che ne guadagneremmo tutti per una maggiore consapevolezza collettiva.

Non mi convince

Critica all’intervento di Harari “Il nostro futuro”

Questo è il primo post dopo tanto, troppo tempo di abbandono di questo blog, ritrovatosi perfino offline per alcuni mesi. Tuttora è mancante di alcune sue parti. Adesso “è tornato” 😉

L’occasione per questo post l’ha fornita la sollecitazione di un amico riguardo l’intervento di Yuval Noah Harari nell’inserto “Robinson” di Repubblica del 13 Gennaio. L’avevo letto già e l’avevo classificato tra le cose mal fatte e poco interessanti (col mio amico ho usato un linguaggio più colorito..) ma, giusto per non essere rigido e presuntuoso , sono andato stasera a rileggerlo: il giudizio rimane confermato ma almeno adesso posso esprimere una critica un poco più puntuale.

Iniziamo dall’inizio

Il primo rigo si apre su “democrazia liberale”. Al quinto e successivi, senza cambiare argomento, il soggetto diventa “il liberalismo”. Ora, siccome io sono ignorante caprone non mi fido della sensazione che qualcosa non mi quadra e quindi vado a cercare il significato. Per democrazia liberale su wikipedia (ma anche altrove) leggo:

La democrazia liberale, o liberaldemocrazia, è una forma di Stato che si fonda sul principio della separazione dei poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario.

Dunque stiamo parlando di una forma di stato: bene. Vado quindi a cercare “liberalismo” e Treccani mi restituisce

Movimento di pensiero e di azione politica che riconosce all’individuo un valore autonomo e tende a limitare l’azione statale in base a una costante distinzione di pubblico e di privato.

Movimento di pensiero? Alt, un momento, stiamo parlando di cose diverse o della stessa cosa? E qua si insinua, ovviamente, il dubbio che le parole e le argomentazioni siano usate un po’ alla leggera. E quando questa imprecisione viene da uno scrittore e influencer di fama internazionale mi viene il dubbio che possa nascondere qualche magagna e precisamente che l’argomentazione sia usata in modo malamente strumentale. Ma andiamo avanti:

A parte la spiegazione sul liberalismo che mi pare del tutto fuori registro, qui si comincia a parlare del libero arbitrio e su questo concetto e sul successivo che introdurremo tra poco si snocciola una sorta di ping-pong che dovrebbe dimostrare la tesi dell’autore. Mi sono preso la briga di contare, anzi di far contare a word quante volte ricorre “libero arbitrio”: sono 11 ricorrenze in un testo di appena sei paginette. Tanta fatica per dimostrare l’inadeguatezza del concetto relativamente alla capacità umana di fare delle scelte consapevoli… A mio parere non valeva la pena, si tratta di qualcosa di molto noto, il campo è di tipo sociologico e psicologico e credo si possano trovare diversi trattati in merito. E’ da notare inoltre come incongruenza significativa che l’autore usi un concetto filosofico e una argomentazione filosofica quando poi, più avanti nel testo, si lascia andare alla seguente affermazione: i filosofi sono persone molto pazienti — in grado di dibattere senza costrutto su qualunque cosa per tremila anniSenza costrutto… bah un po’ troppo sbrigativo, anche non rispettoso direi.

L’altro concetto, l’altra parola che ricorre come un tormentone è hackerare il sistema operativo umano che ricorre con poche varianti per ben 16 volte. Si tratta del concetto basilare del testo e l’autore vorrebbe dimostrare che come esseri umani siamo hackerabili grazie ai dati che lasciamo in rete e che lo diventeremo ancora di più grazie ai sensori biometrici:

Al momento gli hacker si affidano all’analisi di segnali esterni: i prodotti che comprate, i posti che visitate, le parole che cercate online. Ma nel giro di pochi anni i sensori biometrici potrebbero fornire agli hacker un accesso diretto alla vostra realtà interiore, nonché osservare quel che accade nel vostro cuore; non il cuore metaforico tanto amato dalle fantasie liberali, bensì il muscolo- pompa che regola la vostra pressione sanguigna e gran parte della vostra attività cerebrale. A quel punto gli hacker potrebbero correlare il vostro ritmo cardiaco con i dati della vostra carta di credito, e la vostra pressione sanguigna con la vostra cronologia delle ricerche. Che cos’avrebbero fatto, il Kgb e l’Inquisizione, potendo disporre di braccialetti biometrici che sorvegliano costantemente singoli stati d’animo e preferenze? Per nostra sfortuna, è assai probabile che lo scopriremo presto.

Fantastico! Qua entriamo pienamente in un fantasy distopico da serie televisiva! Qua, ancora una volta, si usa la paura e la suggestione al posto della dimostrazione e della argomentazione. Non mi pare corretto.

Bah… potrei andare avanti ancora per molto nel fare le pulci a questo testo che mi sembra non degno di apparire come esempio di dibattito su questi temi che pure sono reali e interessanti. Il mio consiglio è quello di andare a leggere l’intervento di Baricco di qualche giorno fa “E ora le élite si mettano in gioco” e il grappolo di interventi successivi che ne sono scaturiti: ben altro respiro!

Tornando ad Harari possiamo dire che la conclusione è ragionevole e condivisibile

È giusto salvaguardare la democrazia liberale, non solo perché si è dimostrata la migliore forma di governo rispetto a qualunque alternativa, ma anche perché pone il minor numero di limitazioni al dibattito sul futuro dell’umanità. Al tempo stesso, però, è necessario mettere in discussione tutti i presupposti tradizionali del liberalismo e inventarsi un progetto politico nuovo, che sia più in sintonia con le realtà scientifiche e la potenza tecnologica del Ventunesimo secolo.

Ci si poteva arrivare più onestamente!

La democrazia ha ancora bisogno di maestri

Molto bello e interessante l’intervento di Gustavo Zagrebelsky al seminario di “Libertà e Giustizia”. Appunto qui uno stralcio, un passaggio che mi sembra molto importante ed estremamente descrittivo di una situazione italiana cui si dovrebbe tempestivamente porre rimedio:

Quando si dice “la lezione dei maestri”, si dice innanzitutto distanza tra noi, come soggetti, e noi, come oggetti, cioè coscienza critica. La funzione del maestro, nella democrazia critica, non è un lusso, è una necessità vitale.
Tutto il contrario, nella democrazia acritica. Se la maggioranza ha sempre ragione, se la sua volontà è infallibile come quella divina, la voce ammonitrice del maestro è semplicemente un inutile fastidio, come quella del grillo parlante che Pinocchio, che non vuol sentir parola, schiaccia con un colpo di martello. Non c´è bisogno di maestri in questa democrazia, ma di ideologi, di comunicatori, di propagandisti o di pubblicitari, cioè di quelle false maestre (televisione, pubblicità, moda, ecc.) di cui s´è detto. Esse non creano tensione, allontanano da noi l´inquietudine del dubbio, ci fanno credere che ciò che siamo sia anche ciò che non possiamo non essere, che dove siamo non possiamo non essere. Ci fanno stare in pace con noi stessi, perché ci privano della coscienza di noi stessi e ci trasformano da soggetti in oggetti.

La sintesi dell’intervento si può leggere sul sito di Libertà e Giustizia: La democrazia ha ancora bisogno di maestri

La registrazione audio dell’intervento è messa a disposizione da Radio Radicale: