Learning object chiusi: non sono vera innovazione

E’ quanto sostiene Antonio Fini nel brillante post Learning object e carrozze a motore . Cito una delle affermazioni più significative, una frase che sintetizza e chiarisce in un sol colpo una molteplicità di affermazioni che si vanno facendo al riguardo:

La rete, alla lunga,  implica apertura, è bene ricordarlo. E l’innovazione (quella vera) passa e passerà attraverso l’apertura, inutile opporsi. I cataloghi di learning object  chiusi e a pagamento, anche se di squisita fattura multimediale e sapiente progettazione didattica, non sono vera innovazione, almeno non più di quanto non lo siano state per l’evoluzione della mobilità umana le prime “carrozze a motore”, veicoli certamente legati molto più al passato che al futuro.

Bene, sono totalmente e assolutamente d’accordo!

Questo post di Antonio ha provocato su Facebook moltissime reazioni, un confronto a distanza molto vivace. Val sicuramente la pena di andare a leggerlo: http://www.facebook.com/antoniofini/posts/10150106438362265

Ma c’è ancora dell’altro che ha attirato la mia attenzione:

….mi chiedo sinceramente perché il denaro pubblico debba essere utilizzato per alimentare realtà private (grandi o piccole poco importa…) invece che essere impiegato per incentivare e supportare progetti di produzione di contenuti aperti all’interno del sistema scolastico stesso, ad esempio retribuendo direttamente (e in modo adeguato!) docenti disponibili alla redazione, alla verifica, alla revisione di contenuti aperti auto-prodotti.

Come tutti i docenti della scuola vado infatti riflettendo sulla dinamica della individuazione di docenti soprannumerari. E sulla successiva espulsione dal sistema scolastico. Io, questa faccenda, non la capisco. A meno che non si accetti per buona la filosofia e l’operato di giovani operatori della finanza appena usciti da qualche master più o meno prestigioso: più licenzi, più le azioni salgono, più grasso e ricco sarà il bonus di fine anno. NO, non lo capisco. La scuola NON è una società quotata in borsa. La fuoriuscita di personale docente non produce alcun bonus per nessuno. E allora? S’io fossi il grande imprenditore al governo saprei che le aziende sono basate sul prodotto.  Persino la Fiat, dopo anni di inseguimento dei mercati azionari, è ora ritornata a considerare se stessa in primo luogo come una fabbrica di automobili.  Per produrre ci vuole “know how”. Espellere persone “formate” e competenti mi sembra allora una sorta di pazzia distruttiva. La nota di Antonio mi rinforza quindi ulteriormente nella convinzione che una buona amministrazione della scuola potrebbe ormai prevedere l’utilizzazione di docenti in ruoli diversi da quelli della classica presenza in aula. La produzione di risorse “aperte” ( penso alle cosiddette OER) è solo una delle possibilità. La presenza della rete e delle tecnologie ci consentirebbe di offrire sia materiali che attività formative in modo esteso, poco costoso, fruibile da tutti, orientato alle competenze, perfettamente integrato col sistema del lifelong learning. In questo senso i docenti rimasti privi della classe non andrebbero più visti come privi di scopo, ma come risorsa preziosa da utilizzare per l’incremento e la diversificazione della produzione.

Autore: Carlo Columba

Nato (1956), cresciuto e vissuto a Palermo ma certamente non "palermitano doc", piuttosto mi sento pronto per un trasferimento in svizzera… Insegno elettronica negli istituti tecnici industriali ma provengo da esperienze di progettazione e produzione nel campo della multimedialità sequenziale e interattiva. Amante della natura e del silenzio da sempre coltivo la fotografia come personale e indispensabile autoterapia.

3 pensieri riguardo “Learning object chiusi: non sono vera innovazione”

  1. Riporto anche qui un mio commento alle note di Antonio Fini.
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    La polemica non l’ho innescata io: ho letto con sconcerto le tue argomentazioni, Antonio, che hanno con tutta evidenza un riferimento diretto a quanto ho riferito del convegno di Genova. Dire, come fa Gino che non state parlando di Garamond è una ipocrisia, davvero intollerabile: e di chi sennò? Chi sta ponendo questi temi? Chi ha prodotto LO a centinaia e Ebook a decine? Per piacere…

    Quelli che chiami “attacchi personali” sono solo uno dei pochi modi che ho per difendere il lavoro non tanto mio quanto quello dei tanti amici e collaboratori, che qui conoscete quasi tutti, ingannati come me da un governo e relativa corte che prima annuncia progetti di innovazione e poi dice che i contenuti, nel frattempo faticosamente realizzati, non interessano, non valgono, non si debbono acquistare. Poi però sempre sui contenuti fa accordi con Telecom!! E’ una cosa vergognosa.

    Tu, Antonio e Gino, in questo contesto, prendete la mira e sparate sui “contenuti chiusi” (ma che state a dire? quelli di Garamond sono tutti aperti, fatevelo raccontare da Vindice che li ha progettati…). Che cosa posso dirvi? Grazie? Bravi? E andiamo…

    Perciò ripeto: siete oggettivamente in linea con le tesi espresse da Biondi, disastrose e distruttive per lo sviluppo della creazione e produzione dei contenuti didattici digitali in Italia, che non vuole in nessun modo far acquistare dalle scuole, pure se hanno qualche soldo.

    Certo, chi preferisce fare accordi con Telecom e dire alle scuole che devono spendere solo per materiali hardware, non potrà che essere ben lieto di vedersi spalleggiato da voi, sul fronte teorico, a sostegno delle sue politiche governative a favore delle multinazionali dell’hardware, buono purché vuoto…

    Infine: Leonetti richiama un nostro sistema, a cui ha lavorato anche lui, denominato Assist, per creare contenuti: è la riprova che qui nessuno nega che in certi contesti e con gli insegnanti più competenti si possa affrontare la sfida della creazione dei contenuti digitali. Ma, santa pace, perché questo dovrebbe essere alternativo all’uso di contenuti già pronti per chi voglia avvalersene? Ma lo capite o no che le ragioni del Ministero non sono quelle raffinatamente teoriche che voi qui ribadite, ma di altra e totalmente diversa natura e riguardano i pochi soldi che girano da destinare solo a chi produce oggetti e non conoscenza? Cela fate a capire che il punto vero è di tipo economico? O deve essere un cattolico come me a richiamare le note tesi marxiane del fondamento materiale delle dinamiche storiche e dello scontro fra capitale e lavoro? Da che parte sta questo governo? E a chi vanno i fondi per l’innovazione con le tesi che voi sostenete? Non riuscite a vederlo?

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