Della scuola, vi scongiuro, dimenticatevene!

A tutti sia consentito parlare di tutto, ci mancherebbe altro! E quindi a tutti è consentito parlare della scuola e di qualsiasi altro argomento possa venire in mente.
Se però un intervento di un illustre e stimato intellettuale viene veicolato da un giornale a grande tiratura la prudenza si rende necessaria e soprattutto si rende necessario il senso e la coscienza di cosa sia opportuno o meno.
Mi riferisco all’intervento di ieri (20 settembre 2013), su Repubblica, di Massimo Recalcati, psicoanalista innovativo di grande e meritata fama che invita i docenti a non fare, in classe, gli psicologi. Ovvero, giustamente, di astenersi dal fare gli psicologi da strapazzo a danno dei malcapitati studenti. Assolutamente daccordo: chi, come me, entra in classe ogni giorno da oltre vent’anni classifica questa convinzione tra quelle sulle quali c’è assoluta chiarezza.
La stessa chiarezza Recalcati mostra chiaremente di non possedere quando si spinge a dire ai docenti anche dell’altro, quando si spinge ad una critica dell’azione didattica rifacendosi direttamente, come accade a quanti non siano specialisti del settore istruzione, alla propria personale esperienza di ragazzo! My god, sarebbe come dire che chiunque di noi sia stato curato da qualche malattia (chi non è mai andato dal medico?), per questo solo fatto è autorizzato e titolato a raccomandare come debba essere svolta la professione medica! E nel caso di aver subito un’operazione? Ci intenderemmo di chirurgia?
Ovviamente le cose non possono stare in questo modo e la palese incompetenza di Recalcati a proposito di scuola si manifesta drammaticamente quando cita “i contenuti dei programmi ministeriali”, rifacendosi ad un concetto gentiliano ancora in adozione negli anni 70 ma ormai abolito da non so più quanto tempo! Potremmo andare avanti, perchè il nostro si spinge a parlare di cognitivismo e di nozionismo confondendo, temo, teorie della conoscenza e pratiche e metodologie didattiche, cita Socrate e l’informatizzazione, tutto toccando sino ad augurare, ad ogni studente, di incontrare la propria Giulia, carismatica docente fasciata da “tailleurino” grigio… Mi unisco senz’altro a questo augurio di erotizzazione scolastica, ma, allo stesso tempo, prego tutti: per favore, dimenticatevi della “vostra scuola”, anzi, dimenticatevi della scuola del tutto! Il danno sarebbe senz’altro minore!

Autore: Carlo Columba

Nato (1956), cresciuto e vissuto a Palermo ma certamente non "palermitano doc", piuttosto mi sento pronto per un trasferimento in svizzera… Insegno elettronica negli istituti tecnici industriali ma provengo da esperienze di progettazione e produzione nel campo della multimedialità sequenziale e interattiva. Amante della natura e del silenzio da sempre coltivo la fotografia come personale e indispensabile autoterapia.

6 pensieri riguardo “Della scuola, vi scongiuro, dimenticatevene!”

  1. Condivido ogni parola. Dovremmo reagire duramente e pubblicamente ogni volta che qualcuno straparla del nostro lavoro senza aver la più pallida idea di che significa professione docente.

  2. La schiera degli intellettuali che parlano di scuola come al bar si parla della Nazionale di calcio si ingrossa in maniera direttamente proporzionale alla scempiaggine di chi, a partire dal 2003, nei palazzi di viale Trastevere, ha cominciato a rimpiangere il buon tempo andato menandola con le questioni di merito, disciplina e condotta, sia a destra che a sinistra. La verità è che il pensiero nostalgico sulla scuola rimane quello più a portata di mano (e di penna) perché è la nostra società tutto sommato a gradirlo.

  3. assolutamente d’accordo. Anche a me era piaciuto l’invito ai docenti a non fare gli psicologi in classe, però mi ero anche detta che forse Recalcati non sapeva che il più delle volte non sono i docenti a voler fare gli psicologi ma c’è qualcuno che li convince che dia un loro dovere, e magari li costringe con corsi di formazione e incontri con psicologi sulle più diverse patologie. Corsi utili per fornire una giusta informazione e una necessaria consapevolezza ma assolutamente insufficienti per gestire certe situazioni senza fare danno ! perché poi il rischio è il danno ….. basta parole a vanvera sulla scuola, sottoscrivo. Anche il ministro è stato deludente quando ha parlato di salute nella scuola limitandosi al tabagismo. Abbiamo 30 studenti un aule che ne potrebbero contenere poco più di 20, che a 18 anni siedono negli stessi banchi a cui sedevano a 14 perché nell’aula non c’è spazio per banchi più grandi e tutto questo per 5-6 ore al giorno come minimo : è salute questa ?

  4. che meraviglia possiamo farcene, del resto, quando i primi a sparlare sono troppo spesso gli stessi politici aventi responsabilità riguardo alla scuola.

  5. Carlo, cassiamo lo psicologo e diciamoci le cose come stanno. La scuola dei nostri allievi non può essere la scuola dei loro genitori. Per non parlare della scuola fossilizzata di una marea di docenti, anche giovani. Traduco: ci sono generazioni di docenti che rifiutano di navigare verso scoperte diverse da quelle che hanno fatto venti o trent’anni fa, quando respiravano idee nuove e nuove risorse. Quelle idee e quelle risorse non servono più, sono state rimasticate e metabolizzate centinaia di volte: adesso può bastare. Bisogna perlomeno stare nel tempo in cui si vive, per non dire che bisogna immaginarne un’altro. Per cui, i tuttologi manco li leggo più (e mi concentro su altro) ma cerchiamo di definire seriamente che modello di scuola stiamo contribuendo a definire, dove, per quale generazione di allievi e con quali fini etici, sociali e politici, altrimenti rischiamo di far rimanere fuori dal mondo le prossime generazioni, complici pure noi.

    1. cerchiamo di definire seriamente che modello di scuola stiamo contribuendo a definire

      Se mi guardo attorno direi: “la scuola dello svacco”! E della demotivazione: fai una foto dei colleghi al rientro dalle vacanze di natale, nelle immagini vedrai facce da “condannati”.

      con quali fini etici, sociali e politici

      Giusto ieri sera sentivo Bagni, presidente Cidi nazionale, in un intervento nel quale parlava della competenza come motore indispensabile all’adattamento e alla adattabilità del cittadino imposta dalle dinamiche sociali ed economiche attuali. Condivido in pieno: importante non è tanto ( solo) quello che si sa, ma come lo si usa e come si riesce a costantemente ad adattare la propria personale posizione nel mondo del lavoro. Programmare in base ai saperi che riteniamo siano utili per il prossimo futuro è una follia.
      Parole chiave, a mio parere, dovrebbero essere:
      – consapevolezza dei limiti
      – coscienza di sé nel rapporto col sistema naturale e culturale
      – pensiero critico
      – rispetto della diversità
      – sviluppo di un pensiero sistemico e complesso.

I commenti sono chiusi