Si arriva a un punto…

… della vita nel quale diventa relativamente facile riconoscere nelle biografie altrui dei percorsi che avrebbero potuto essere i nostri. Non senza qualche rimpianto leggo un intervista con Tony Bynum, fotografo ambientalista basato nel Montana, apprendendo del suo lavoro fotografico così strettamente intrecciato con le campagne ambientaliste e l’amore per “l’outdoor” e la natura incontaminata. E notando come un periodo della mia vita sia stato piuttosto simile (ero ancora studente universitario o appena laureato). Avrei molto volentieri fatto il fotografo per “Airone” (prima maniera però, taglio esclusivamente naturalistico), per un periodo è stato il mio sogno ma, forse perché non mi sono dato mai i “permessi giusti”, forse perché mi sembrava un qualcosa al di fuori della mia portata, non l’ho mai inseguito questo sogno, ho dato la priorità a stare coi piedi per terra. Vabbè… ho vissuto lo stesso, non mi pento di niente…ma qualche pensierino in questi casi fa capolino.

Disprezzo delle regole e delle persone – Repubblica Palermo

Apro stamattina l’edizione locale di Repubblica, il giornale che leggo abitualmente e al quale sono in qualche modo affezionato, e trovo che una mia foto di alcuni anni addietro è stata usata come corredo ad un articolo inserito nelle pagine culturali.rep piratata

 

La foto è senz’altro mia ed è recuperabile su Flickr all’indirizzo: https://flic.kr/p/3rgPv5

Come quasi tutte le mie foto su Flickr ( in genere faccio eccezione per foto con persone riconoscibili) è rilasciata in licenza Creative Commons del tipo “Attribuzione – Non Commerciale – Condividi allo stesso modo”, una licenza cioè che ne consente il riutilizzo per scopi non commerciali purché venga citata la fonte e il prodotto derivato sia rilasciato con medesima licenza.

Ora, ragioniamo a mente serena e domandiamoci: perché mai un giornale nazionale, uno dei più importanti, con una tiratura invidiabile e una struttura produttiva nella quale convergono molteplici prodotti a stampa e uno dei più grossi siti web dedicati all’informazione, perché un tale colosso si ritrova a rubacchiare una foto certamente non particolare, un soggetto sicuramente ri-fotografabile, una foto, insomma, di modesto valore complessivo? E poi: passi il fatto che l’utilizzo è commerciale, passi il fatto che il giornale non è rilasciato con la medesima licenza (e sono già due violazioni dei miei diritti di autore), perché, Repubblica Palermo , perché non riporti nemmeno in forma piccola e illeggibile il mio nome e l’indirizzo di provenienza della foto? Questa non è solamente la terza violazione dei diritti, questo è disprezzo delle regole operato da un giornale che tante volte si è schierato per la difesa della legalità! Disprezzo della norma, disprezzo delle persone. Perché?

 

Antidoto alla cecità

Rather than merely document reality, Matthew seeks to harness abstraction and beauty from it – to use his imagery, in short, “as an exercise in seeing, or an antidote to blindness.”

Piuttosto che documentare pedissequamente la realtà, Matthew cerca di estrarne astrazione e bellezza – usando la sua visione, sinteticamente, “come un esercizio dello sguardo, o un antidoto alla cecità”.

 

Concordo. 🙂

 

La Palermo degli ultimi

Sono andato venerdì sera alla inaugurazione della mostra di Giacomo D’Aguanno e Francesco Faraci. Li conosco entrambi da tempo e conoscevo giá le loro foto e quindi in qualche modo mi sentivo “preparato” ad una sorta di gradevole deja-vu sui noti temi della palermitanitudine. Invece no, sin da subito la mostra mi spiazza con la sua giustapposizione, con l’affiancamento di bianconero e colore, con il mescolamento insieme manifesto e implicito delle immagini dei due autori e subito penso alla estrema rischiosità dell’operazione prevedendo di dover assistere ad una certa disastrosità espositiva. Ebbene, non mi vergogno a dirlo, mi stavo sbagliando clamorosamente: l’idea, mi è stato confermato dalla curatrice, è stata di Giacomo e Francesco i quali, pur non essendosi direttamente frequentati prima di questa occasione, riescono miracolosamente a mettere insieme i loro lavori, ad abbandonare quelle che nell’ambiente palermitano (credo non esclusivamente) sono le ben conosciute miserelle gelosie professionali di chi si ritrova ad operare nel medesimo ambiente e ad optare per quello che credo non possa altrimenti essere definito che un atto di amore per questa città, i suoi abitanti, i suoi irredimibili problemi.

L’esposizione è arricchita con un ben fatto catalogo (tra l’altro distribuito gratuitamente) corredato da significative presentazioni tra le quali spicca quella di Giosuè Calaciura che è riuscito a mio parere a centrare più degli altri il senso e l’importanza del lavoro in mostra e a meglio esprimerlo, restituendo per intero il senso della validità di una idea invero non nuovissima per questa città e tuttavia sempre valida e, grazie alla qualità complessiva, ancora opportuna.  Mi permetto di citarne una brevissima parte:

È ancora attraverso le fotografie che Palermo continua ad offrire qualche notizia di sé, si lascia leggere, in qualche caso decifrare, accetta una minima interpretazione di se stessa, a volte persino mettendosi in posa nella consapevolezza irridente del suo mistero. […] A Palermo, quasi un mandato, quello della fotografia.

Photomediations Open Book – L’introduzione

Qualche tempo fa mi sono dedicato alla traduzione dell’introduzione a “Photomediations: an Open Book” per costrigermi a leggere con calma e a riflettere. Si tratta di concetti piuttosto sfuggenti.
Dal momento che siamo ormai alla ripresa delle attività autunnali mi sembra il caso di riportarne qui la traduzione .

Non è forse esagerato descrivere la fotografia come una delle pratiche costituenti la quintessenza della vita. Leggi tutto “Photomediations Open Book – L’introduzione”

Selezione foto 2014

Ho composto e stampato su Blurb una selezione di fotografie realizzate nel corso del 2014. IL libro è sfogliabile elettronicamente qui di seguito:

Esporre il lavoro

Ho pubblicato un articolo su Humansofsicily , ne riporto qui uno stralcio e il link all’articolo completo.

Abbiamo a lungo dibattuto tra noi di cosa dovesse esser parte del tema “humans” e di come svilupparlo. Di come realizzare le serie di foto, se privilegiare la scoperta oppure se lavorare e perfezionare a lungo un tema. Abbiamo riflettuto sulla natura e qualità dei risultati sino ad ora raggiunti, su quanto ci soddisfino o non ci soddisfino. Abbiamo riflettuto sul possibile dilettantismo che rischia di emergere dalle serie pubblicate e sul significato della parola “autorialità” che citiamo nel nostro manifesto. La lettura che, in questo periodo, sto facendo del piccolo, ma sostanzioso, “Cos’è l’arte?” di Joseph Beuys (qui la recensione) mi consente di estrarre qualche passaggio che mi sembra significativo.

Vagando in una luminosa notte

Ripropongo oggi la mostra presso Asterisco, sto per andare alla inaugurazione, ho bisogno di raccogliere qualche pensiero, spero sensato, spero intelligente.
Non è mia intenzione, in questa sede, parlare delle fotografie: ai posteri l’ardua sentenza, come si suol dire, piuttosto mi piacerebbe parlare del percorso che ha portato alla realizzazione delle stesse. La narrazione di questo percorso è importante. Nel caso di fotografie e di fotografi si finisce quasi sempre con lo scoprire che il percorso di vita e quello fotografico sono tra loro strettamente legati: difficilmente potrebbe esistere l’uno senza l’altro.
Il percorso che mi ha portato a queste foto è durato oltre due anni, un percorso che mi ha portato in giro per tutta la sicilia (sono esclusivamente siciliani gli alberi qui rappresentati) e che mi ha creato molte veglie notturne da dedicare alla postproduzione. Ma in realtà, come tutte le occasioni della vita nelle quali matura un momento di così palese esposizione pubblica, si manifesta il risultato di un percorso durato più o meno una intera vita.
Dal punto di vista fotografico io nasco, se si fa eccezione delle foto familiari fatte con la “Istamatic”, durante il periodo in cui frequentavo l’università: caratteristica di quel periodo la semplicità dei mezz:i il bianco e nero e le infinite ore passate di notte in camera oscura. Un primo grosso salto lo faccio quando entro a far parte di Laboratorio Immagine, una delle migliaia di cooperative giovanile nate agli inizi degli anni ottanta, dedicandomi a quel punto esclusivamente alle diapositive. Colore quindi (e che colori la vecchia Ektachrome), modalità “uno scatto e via” perchè con le dia non si può poi intervenire in nessun modo: esposizione e composizione sono tutte e solo decise al momento dello scatto. Una formidabile palestra che mi ha portato a contatto con tanti temi classici di quegli anni: la cultura materiale e popolare, l’ambiente, il territorio, l’ecologia, la società, la gente.
Finito quel periodo la mia attenzione creativa si sposta prima verso il video, poi verso la realizzazione dei cdrom interattivi per approdare infine ai primi siti web in html. La fotografia rimane sullo sfondo ma sostanzialmente non fotografo più, a parte le classiche occasioni familiari.
A “risvegliare il neurone fotografico” interviene la disponibilità delle tecnologie digitali a costi accessibili, il tutto condito dalle possibilità di Flickr e delle rete tutta. Credo che il mio primo anno di partecipazione a Flickr mi abbia fatto crescere forse più di tutti gli anni precedenti, vado sperimentando tecniche e soggetti, pubblico le foto online e aspetto i commenti positivi, comincio a pensare ad un tipo di fotografia che sia veramente “mia”. Dopo un periodo piuttosto forsennato sento il bisogno di fermarmi un attimo per rispondere alla domanda: ma io, che cosa fotografo? E mi metto a guardare, con occhi il più possibile distaccati, il mio archivio digitale ormai arricchitosi di oltre diecimila immagini. Scopro i miei soggetti preferiti e tra questi forse “il”preferito: gli alberi. Sul perché di questa preferenza il discorso sarebbe adesso troppo lungo ma giusto per avere una idea si pensi ad uno spirito ecologico impregnato di un certo animismo immanentista. Decido quindi di cominciare a lavorare esplicitamente e deliberatamente sugli alberi, di farne oggetto di una mia personale ricerca da portare avanti consapevomente.
A questo si aggiunge, nello stesso periodo, una certa stanchezza rispetto al tipo di fotografia dilagante. In realtà dilaga di tutto, di tutti i generi fotografici, con uno spiccato orientamento verso la ricerca dell’effetto “wow”. Sono stanco di quanto vedo in giro, voglio distaccarmene, ambisco a qualcosa di più personale, comincio a coltivare e a far crescere l’idea di una fotografia “poco fotografica”, almeno nel senso classico del termine, una fotografia lontana dalla classiche forme della retorica del mezzo. Comincio così a considerare l’atto fotografico come solamente il momento di inizio di un processo di costruzione dell’immagine: non fotografo più “le cose”, i luoghi, gli oggetti. Piuttosto, fotografando, creo materiali grezzi che mi serviranno a costruire delle immagini non necessariamente coincidenti a qualcosa di reale. È nella camera oscura, ormai diventata camera chiara e digitale, è nelle lavorazioni che vengono dopo gli scatti che si insegue l’immagine che si vuole generare. Dunque “poco fotografico” non sta ad indicare una fotografia che insegue la pittura o qualche altra forma di arte o di comunicazione visiva: indica invece un processo che partendo dalla fotografia sfrutta le possibilità messeci a disposizione dalle tecnologie digitali.
Le fotografie della mostra sono il risultato di questo processo, spero che vi piaccia!

Mois de la Photo

Di ritorno da Parigi, ho qualche ora di attesa a Fiumicino, provo a riordinare le idee di un weekend interamente dedicato alla fotografia.
IMG_1561.JPGCominciamo da Paris Photo, 169 gallerie da 35 paesi rappresentano i migliori fotografi “fine art” del mondo. Fine art sta per fotografia artistica, non (necessariamente) legata al mondo dell’informazione e della documentazione. Si tratta di una vera e propria fiera con tanto di marea umana che pascola senza molto capire e riuscire ad apprezzare. Ed in effetti apprezzare è difficile se dappertutto ricevi spintoni e devi far fatica per guardare un’opera senza una qualsiasi testa in mezzo. Tant’è, non so se i galleristi siano tanto contenti di una tale affluenza, i loro clienti sono persone di altra natura, diciamo meno “turistica”.
Per un bel pezzo mi sono quindo sentito piuttosto a disagio non riuscendo a godermi nulla di quanto esposto. Almeno sino a quando non ho deciso che dovevo essere molto più spregiudicato e politicamente scorretto, ho capito che dovevo assecondare il mio momentaneo arbitrio, trascurando quanto (in quel momento) non poteva interessarmi (per favore, basta con Irvine Penn e tanta, anche se importantissima,fotografia storica), ho capito che dovevo essere disincantato e affidarmi brutalmente alla sensazione immediata. E ho svoltato, per così dire, scoprendo che mi piacevano più di tutti i fotografi contemporanei giapponesi e coreani con opere vibranti dalla sensibilità estrema ed estremamente differente da quella occidentale. Ho preso appunto per ulteriori approfondimenti, almeno qualche libro vorrei riuscire a comprarlo.

Nella stessa giornata mi sono spostato dalla zona “commerciale” a quella culturale del Mois de la Photo e sono andato a Jeu de Paume, per la mostra di Garry Winogrand. Bella e interessante mostra, molto ben curata, senza dubbio, ma si tratta di un genere fotografico ormai molto noto il cui interesse probabilmente rimane fondamentalmente storico.

IMG_1564.JPGIeri, sabato, sono andato alla Mep, Maison Europeenne de la Photographie, a vedere principalmente la mostra di Tim Parchicov, “Suspense” e “Faux Horizons” di Alberto Garcia Alix. La prima è allestita in una sala buia dalle pareti scure. Le immagini sono stampate si supporto trasparente e retroilluminate. Suggestiva ma tuttosommato “perdibile”.
Falsi Orizzonti, dello spagnolo, è invece assai interessante anche se inevitabilmente risente di una certa dolorosità cattolica e di una sorta di machismo futurista. L’ho trovata molto stimolante.

Nel pomeriggio al museo Carnavalet per la raccolta di Michael Kenna su Parigi. Qui l’incanto è purissimo e assoluto, atmosfere delicate e sospese ma non desolate e rarefatte, una capacità di trattare anche temi classicissimi come i ponti sulla Senna in chiave sempre intrigante e mai banale, mai lasciandosi tentare dal “meraviglioso” o dal “bel paesaggio”. Beh, sulle qualità della fotografia di Kenna non ho certo bisogno di dilungarmi. Unico cruccio l’atmosfera rumorosa e poco ripettosa, cafonismo da gruppo turistico, cosa ben diversa dalla prima esposizione di Kenna che avevo visto qualche anno fa alla Biblioteque Nationale in una atmosfera praticamente mistica di silenzioso raccoglimento. Infine a Saint Germain, le gallerie più numerose dei panifici, che ospita per lo più autori della sezione “Off”.

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Ritorno alla base col velib (la bici comunale in affitto) con tanto di passeggiata su un lungo senna al crepuscolo 🙂

Effetto “wow” in fotografia

La foto qui a lato è la vincitrice di uno dei tanti “contest” organizzati da ViewBug. Bella foto, per carità, ricca di importanti elementi formali quali le diverse simmetrie (orizzontali, verticali), l’effetto specchio, la contemporanea presenza di limpidezza e di foschia, il casolare piazzato in sezione aurea, la luce dolcemente radente, la soavità dell’insieme. L’acqua, il cielo , la terra, la presenza ordinata dell’attività dell’uomo: anche simbolicamente possiamo sbizzarrirci. Eppure è una foto che non guarderemo mai più! Ci sono bastati dieci secondi, forse anche meno, per coglierne i diversi aspetti, emozionarci un attimo, saturarci sino allo sdegno subito dopo. Sì! Si tratta del famigerato effetto “wow” di cui sono pieni tanti ambienti che si occupano di fotografia ove la fa da padrona una certa estetica patinata, da catalogo pubblicitario di macchine fotografiche, un qualcosa di rapido effetto e di rapidissimo esaurimento del consumo. Mi sembra che sia veramente arrivato il momento di dire basta!