Tecnologie digitali negli ambienti di apprendimento

Sto preparando in questo periodo dei materiali per dei percorsi di formazione e aggiornamento per docenti e dirigenti scolastici sulle tematiche delle tecnologie negli ambienti di apprendimento. La riflessione quindi è rivolta agli ambienti di apprendimento da implementare a scuola e tralascia altri ambiti quali la formazione on line, la formazione permanente, etc. Comincio qui a pubblicarli in una logica di condivisione e di collaborazione chiamando e sollecitando chiunque vorrà intervenire a farmi conoscere le sue critiche costruttive, a suggerirmi modifiche, a indicarmi opportune correzioni. La “collezione” completa di questi interventi costituirà alla fine il nucleo del materiale formativo che verrà rilasciato in licenza Creative Commons.

Mi piacerebbe riuscire a fissare le idee su alcuni punti fondamentali e alcuni snodi “chiave” e fornire allo stesso tempo dei materiali riutilizzabili nel tempo e utili per individuare un utilizzo, individuare un software, una app, un ambiente web, con esempi sull’opportunità del loro utilizzo e i necessari riferimenti tutoriali. Mi sono quindi subito orientato sull’utilizzo della mappa concettuale come strumento base di questa comunicazione formativa; infatti la mappa, già con la sua architettura e topologia veicola dei significati, consente una lettura sintetica e rapida dando al contempo i riferimenti per gli approfondimenti, e poi consente una lettura e una fruizione non lineare che si adatta flessibilmente alle esigenze informative e conoscitive di persone diverse in tempi diversi.

La mappa di base vede al suo centro il concetto di “ambiente di apprendimento” (al momento ne riporto qui solo la zona centrale)Ambienti di apprendimento2 semplificata

immediatamente contornato da quelle che sono le “funzioni” che un tale ambiente è chiamato a svolgere; in termini di lista:

  • garantire l’accesso all’informazione
  • utilizzare, incoraggiare la comunicazione  e mettere a disposizione strumenti appositi
  • facilitare e razionalizzare la progettazione, la documentazione e il tracciamento dei percorsi di apprendimento
  • consentire la differenziazione dei percorsi di apprendimento in funzione delle differenti velocità e differenti stili di apprendimento degli alunni
  • documentare le competenze raggiunte
  • mettere a disposizione strumenti e metodi per la registrazione e produzione di contenuti
  • implementare metodologie attive come quella del “fare”
  • offrire strumenti, metodi e occasioni di interazione formativa
  • implementare strumenti per la valutazione e quindi anche per l’assegnazione di compiti.

Si vede facilmente come alcune funzioni sarebbero ulteriormente raggruppabili e generalizzabili, ad esempio offrire strumenti di interazione e offrire strumenti di comunicazione, ma un tale livello di sintesi rischierebbe di far perdere parte della ricchezza e complessità caratterizzanti un ambiente di apprendimento.

Nel seguito utilizzerò ulteriori mappe a partire dai nodi in colore giallo in modo da associare alle diverse funzioni diversi possibili strumenti che la tecnologia digitale mette a disposizione.

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Aggiornamento 22/08/16

Inserito “differenziazione” dei percorsi di apprendimento su suggerimento di Claudia Perlmuter

 

Estremadura

estremadura

Leggo di recente di una passione di Sciascia per la Spagna, un coinvolgimento che lo spingeva ad osservare e studiare queste due terre distinte come collegate quasi a costituirne una sola. La cosa mi ha molto colpito perché vengo da un piccolo giro da quelle parti nel quale mi è capitato di sperimentare sensazioni di appartenenza assai vivide. La terra di Estremadura è una sconfinata distesa di sugheri e lecci, vista dall’alto si presenta come un pattern regolare di macchie verdi che spiccano sul giallo del secco. Ospita diverse città storiche patrimonio dell’Unesco e alcuni santuari naturalistici con specie di uccelli altrove scomparse. Eppure non si può dire che la Spagna sia stato un paese attento alla natura, le trasformazioni ambientali sono state pesanti e a tratti catastrofiche (penso a certi tratti di costa mediterranea). Ma in quel territorio la antropizzazione è stata, diremmo oggi, “sostenibile”. La foresta primigenia non esiste più, ma gli alberi non sono affatto scomparsi: diradati, questo sì, potati anche, come nel caso dei lecci, e considerata specie produttiva anche il sughero. Il diradamento è funzionale alla silvicoltura e insieme consente la coltivazione di cereali e l’uso a pascolo. La redditività deve tutt’oggi essere attraente se è vero che per decine di chilometri ho cercato, per motivi squisitamente fotografici, un qualsiasi varco nelle recinzioni che ininterrottamente delimitano le diverse proprietà. Niente da fare: tutto perfettamente recintato e manutenuto.

Antidoto alla cecità

Rather than merely document reality, Matthew seeks to harness abstraction and beauty from it – to use his imagery, in short, “as an exercise in seeing, or an antidote to blindness.”

Piuttosto che documentare pedissequamente la realtà, Matthew cerca di estrarne astrazione e bellezza – usando la sua visione, sinteticamente, “come un esercizio dello sguardo, o un antidoto alla cecità”.

 

Concordo. 🙂

 

Non di soli pupi….

copertina orlando allo specchioCosa distingue “un libro” da una novità editoriale? L’esuberante ansia affabulatoria di Cuticchio ha impedito venerdì scorso che il tema potesse essere messo a soggetto della serata, per altro splendidamente riuscita. Si, perché il libro di Giulia Lo Porto è cosa del tutto differente dai libri che sin qui si sono occupati di “Beni Culturali”. “Orlando allo specchio” non è documentazione. Non è interpretazione e rivisitazione. “Orlando allo specchio” spezza ogni legame col passato, col conformismo, con l’accademia, col folclore, con qualsiasi cosa sin qui scritta a proposito. L’autrice riesce in una operazione veramente magnifica perché ci fa vivere il senso più alto di un bene culturale. Leggendo il libro si tocca con mano, si vive in prima persona l’esperienza più nobile che possiamo ricavare dall’accostarci a tali beni: che la vita e la cultura sono un tutt’uno. Che ciò che siamo e proviamo sta tutto in relazione con l’ambiente culturale che siamo in grado di generare e che altri hanno generato anche prima di noi. Che c’è un legame tra il nostro essere, il nostro sentire, con la storia. Vivere, questa la lezione del libro, non esiste se non all’interno di un tale sistema. Personalmente ho la sensazione di trovarmi davanti alla nascita di un nuovo genere letterario e già mi dichiaro in attesa di nuovi volumi.

 

Kobane Calling

kobanecallingFinito di leggerlo stamattina, mi lascia con una emozionata sensibilità, nel leggerlo a tratti mi ha provocato delle sincere risate ma in altri mi sono veramente commosso. Bravo, Zerocalcare, credo che in questo suo lavoro abbia potuto esprimere il meglio di se stesso con un racconto che in realtà non è un racconto, sembra piuttosto il parlare di un amico che ti stia facendo le sue introspettive confidenze su una esperienza pericolosa e importante. Ho la sensazione che questo libro costituisca già un caso per l’editoria italiana sia perché rende evidente come il fumetto possa generare un vero e proprio linguaggio capace di veicolare concetti, pensieri ed emozioni molto al di là delle classificazione di “genere” (pensiero espresso dallo stesso autore in una recente intervista), sia per la freschezza, l’originalità, la sincerità dell’esperienza personale riportata. Che stia avendo gratificazioni sul piano commerciale mi può fare solamente piacere, significa che la qualità ha ancora senso per molti di noi. Cosa dire ancora? Kobane Calling è una sorta di documentario introspettivo a fumetti, è prezioso, la mia sensazione è che sia capace di parlare a diverse generazioni di lettori, diversi sia per fascia di età che per formazione culturale.

La parola negata

Il valore della parola nel mantenimento della libertà. Da vedere.

http://video.repubblica.it/embed/rubriche/italian-tabloid/la-parola-negata-roberto-saviano/238758/238622&width=640&height=360

Maggot Brain

 

Ci sono delle creazioni che acquistano in noi un valore particolare: l’altro giorno ho per caso riascoltato “Maggot Brain”, bellissimo, ricavandone delle sensazioni più estese del solito. Gli amanti del rock conoscono bene tutte le sfumature di sentimento ed emozioni che il genere provoca sugli ascoltatori: qui il brano è dominato quasi interamente dallo spettacolare assolo della chitarra elettrica di Eddie Hazel che ci inchioda con una sensazione dolce e insieme straziante. Si, questo suono, quella chitarra, ci colpiscono lasciandoci senza difesa alcuna, rapiti. La mia sensazione è stata quella di trovarmi ad avvertire in un solo colpo l’essenza dell’estetica giovanile degli anni 70. Pace e amore, comunione con la natura, niente barriere e nessuna indifferenza, l’utopia come unico sogno perseguibile. Ascoltando il brano tutto è tornato prepotentemente a galla, tutto il bello creato e concepito da quella cultura. Ed insieme ad esso un amaro, amarissimo senso di lutto per il massacro di quelle istanze compiuto senza pietà nei decenni successivi. L’abbiamo pagata cara, con la fine del sogno hanno avuto il sopravvento l’eroina, l’Aids e il suicidio. Il numero di morti è stato di gran lunga superiore a quello del Vietnam. Lo strazio è intatto, ce lo ricorda il suono prolungato della chitarra, quasi il lamento di un cetaceo sperduto che chiama il branco ormai arrivato all’altro capo del mondo.

Buon ascolto: Maggot Brain

Uomini o sardine

valtolina_sardine

Leggo oggi gli interessanti e belli articoli su Pasolini. Quando è morto, nel 75, ero troppo giovane per avere una idea compiuta dell’uomo e dell’artista. Si, mi ero imbattuto in qualche suo film ma, sinceramente, non ne ero rimasto granché impressionato. Oggi, appena più consapevole di allora, comincio ad apprezzare e rimango assai colpito da alcune affermazioni che trovo riportata:

«La matrice che genera tutti gli italiani è ormai la stessa — scriveva, nel 1974 — Non c’è più dunque differenza apprezzabile… tra un qualsiasi cittadino italiano fascista e un qualsiasi cittadino italiano antifascista. Essi sono culturalmente, psicologicamente, e quel che più impressiona, fisicamente, interscambiabili… I giovani neofascisti che con le loro bombe hanno insanguinato l’Italia, non sono più fascisti… Se per un caso impossibile essi ripristinassero a suon di bombe il fascismo, non accetterebbero mai di ritornare ad una Italia scomoda e rustica, l’Italia senza televisione e senza benessere, l’Italia senza motociclette e giubbotti di cuoio, l’Italia con le donne chiuse in casa e semivelate. Essi sono pervasi come tutti gli altri dagli effetti del nuovo potere che li rende simili tra loro e profondamente diversi rispetto ai loro predecessori».

Leggi tutto “Uomini o sardine”

Meno male che c’è Radio 3!

Qual’è la vostra radio preferita? Io ne ho due: Virgin Radio e Radio3. La prima per la musica sbomballante, ovviamente, la seconda…. beh, la seconda è tutta un’altra cosa. Si perché Radio 3 sembra essere il fossile vivente di una epoca nella quale la ragione, l’uso del confronto dialettico,  il piacere di elaborare pacatamente il pensiero, la ricerca, la curiosità verso il mondo, il tentativo di capire come stanno le cose venivano considerate cose belle, buone e importanti. Atteggiamenti da valorizzare e perseguire. Un pugno di persone riescono ancora a fare una radio di questo tipo.  Come fai a trovare il tempo di seguirla, mi si dice. La risposta è semplice: intanto, tranne rari film, non guardo televisione…. (si, ho sangue alieno nelle vene . . ). E poi ci sono i podcast! Non so perché, i podcast siano così poco frequentati, sono semplici da usare e comodissimi. Così spesso la sera mi ritrovo a lavorare sulle foto e ad ascoltare qualche podcast di Radio 3.

Ma in realtà sto divagando, mi sono lasciato prendere la mano e invece volevo dire un’altra cosa: oggi la giornata intera su Radio 3 è stata dedicata all’uso della lingua italiana. Una cosa intelligente, direi, un qualcosa di veramente opportuno, e anche, perché no, un atto d’amore.

Le Vie dei Tesori

Passeggiata domenicale, stamattina, l’intenzione è quella di andare a visitare Palazzo De Seta, è una vita intera che lo vedo chiuso, la curiosità è massima, occasione da non perdere. Coda micidiale! Si tratta di due ore circa, vabbé, forse non è il caso di aspettare, ci sono tante altre cose da vedere!

Ed in effetti è proprio così, la attuale edizione de “Le vie dei tesori”, conferma che si tratta di una iniziativa di grandissimo successo, i palermitani partecipano numerosissimi e anche i turisti non mancano. La nostra scelta (alternativa) è caduta sulla Cripta della Chiesa dei Cocchieri e sulla mostra “Le Stanze del Genio”. Dappertutto gente contenta e soddisfatta, personale, soprattutto ragazzi e ragazze gentili e disponibili, tutto bene, unico disappunto “ma perché queste cose non possiamo farle tutto l’anno?” Immagino che i motivi logistici ed economici possano essere lungamente elencati tuttavia mi pare di capire che uno dei motivi del successo sta proprio nella transitorietà e nella fuggevolezza, sono occasioni da prendere al volo e se, come oggi, la giornata è bella, allora la città diventa godibile. Addirittura ci si può persino spingere a pensare che qualche motivo per viverci, intendo in questa città, ebbene qualche motivo riusciamo persino a trovarlo!