Esporre il lavoro

Ho pubblicato un articolo su Humansofsicily , ne riporto qui uno stralcio e il link all’articolo completo.

Abbiamo a lungo dibattuto tra noi di cosa dovesse esser parte del tema “humans” e di come svilupparlo. Di come realizzare le serie di foto, se privilegiare la scoperta oppure se lavorare e perfezionare a lungo un tema. Abbiamo riflettuto sulla natura e qualità dei risultati sino ad ora raggiunti, su quanto ci soddisfino o non ci soddisfino. Abbiamo riflettuto sul possibile dilettantismo che rischia di emergere dalle serie pubblicate e sul significato della parola “autorialità” che citiamo nel nostro manifesto. La lettura che, in questo periodo, sto facendo del piccolo, ma sostanzioso, “Cos’è l’arte?” di Joseph Beuys (qui la recensione) mi consente di estrarre qualche passaggio che mi sembra significativo.

Re-branding e spirito del 68

Leggo oggi ad opera di Christian Salmon il contributo forse più interessante tra i tanti spesi per cercare di interpretare il significato e le conseguenze dell’attentato di Parigi dello scorso 11 gennaio. Ne riporto qui alcuni passaggi.

«Ci è stata messa sulle spalle una carica simbolica che va un po’ oltre ciò che siamo», ha dichiarato Luz, uno dei disegnatori superstiti della redazione di Charlie Hebdo. «Io sono tra coloro che si sentono a disagio. In definitiva, la carica simbolica attuale è tutto ciò contro cui Charlie ha sempre lavorato: distruggere i simboli, far crollare i tabù, smascherare i fantasmi. Con la differenza che oggi il simbolo
siamo noi.
L’irriverenza si è trasformata in oggetto di adorazione, l’impertinenza in obbligo e persino in compito scolastico. Il disegno sacrilego è stato sacralizzato e la guerra santa barbarizzata. Informazione e insegnamento sono stati mobilitati, ironia e sarcasmo sono diventati una materia obbligatoria. L’intoccabile è emerso ovunque. I militanti della matita hanno preso ad assomigliare a dei pellegrini in cammino, con i loro bastoni: dei penitenti del ridere. La Republique, rispettosa, ha brandito l’ostensorio del ridere davanti alle folle in processione…
… la messa anti-terroristica si presta ad essere letta come un’Eucaristia patriottica. Consuma i simboli della fede repubblicana e opera una vera e propria transustanziazione: “Questo è il mio corpo” “Io sono Charlie”. Il corpo di Charlie. Il marketing non fa che parafrasare il testo del Testamento, o profanarlo.
… lo spirito dell’11 gennaio ha preso il posto dello spirito del Maggio. Le matite hanno preso il posto dei sanpietrini (quelli lanciati nelle manifestazioni del 1968, ndr), e la strada si è svuotata per accogliere un manipolo di capi di Stato, che comprendeva una ragionevole percentuale di censori e dittatori. Si è assistito al tempo stesso alla rivolta e al ritorno del bastone, a “Io sono Charlie” e al caos, al Maggio ‘68 e al giugno ‘68 (quando De Gaulle vinse le elezioni, ndr). Lo spirito di rivolta si è affidato all’ordine repubblicano, una rivolta antiautoritaria ha assunto i tratti di una richiesta di autorità, l’insorto è diventato un venditore. L’hashtag virale si è imposto su migliaia di slogan. Vi sono stati contemporaneamente rivoluzione e restaurazione, ordine e insurrezione…

Il tunnel dell’economia

Leggo l’editoriale di Scalfari odierno (17 agosto) nel quale brillantemente si tratta, tra l’altro, della differenza tra depressione e deflazione, delle cause e degli effetti dell’una e dell’altra, di come entrambe contribuiscono al declino complessivo dell’economia italiana, di come si potrebbe/dovrebbe operare a livello tecnico e politico per far fronte alla situazione. Limpido, chiaro, efficace.
Non posso però fare a meno di constatare, ancora una volta, che, ammesso che esista un modo per far riprendere le economie europee, tale processo viene concepito e messo in atto nelle modalità storiche che lo hanno determinato. Sicuramente si ripresenterà e forse in forme anche più gravi.
In ogni caso si tratta di un processo basato sull’incremento della produzione e dei consumi secondo aspettative e teorie risalenti al periodo nel quale si poteva ancora credere che le risorse naturali e ambientali fossero tanto grandi da potersi, ai fini pratici, considerare infinite.
Quanto queste convinzioni siano diventate drammaticamente inattuali è così evidente che non si richiede alcuno sforzo esplicativo epperò sembra che non possa esistere nessuna alternativa al modello economico vigente. Che significa affermare che non esiste la possibilità di evitare il disastro ecologico ed ambientale tipico delle dinamiche puramente zoologiche, il disastro delle sovrappopolazioni. Ovvero: se non ci fermiamo da soli, sarà l’ambiente a farlo, come sempre accade in natura. Peccato che si tratta di passare da milioni (miliardi?) di morti, da spaventose guerre e violenze e sofferenze inenarrabili.
Mi sembra una logica tossica e da tossicomane, forse oltre il tunnel dell’eroina esiste anche un collettivo tunnel dell’economia 🙁

Genitori e figli al tempo dei video hard

Sul suo blog Muraglia scrive Genitori e figli al tempo dei video hard, attenta riflessione sul recente accadimento a Palermo che ha generato una escalation di pubblicazione su tutti i giornali locali e su molti di quelli nazionali, compreso alcuni giornali “tecnici” del mondo della scuola.

Concordo e rilancio quanto detto. Come osservatore delle implicazioni e conseguenze dell’uso delle tecnologie e dei media vorrei solo aggiungere una considerazione. Comportamenti come quelli descritti non sono (o semmai solo in minima parte) da imputare alla disponibilità di smartphone e connettività. Molto più determinante mi sembra la diffusione (vedi anche MTV) di “reality” nei quali comportamenti altrimenti visibili solo nei porno professionali vengono invece tranquillamente diffusi persino in orari “non protetti”. Se pensiamo al relativo potenziale di imitazione non possiamo che deprecare.

Sostanzialmente si tratta ancora una volta di quanto correttamente descritto da Galimberti: il “mercato”, assai lontano dall’essere questo ideale mediatore delle dinamiche sociali, si sostituisce al bisogno degli individui, surrogando negli adolescenti la ricerca del “sè” e imponendo loro di fatto modelli di vita e di consumo che non esitano a degenerare in comportamenti sin’ora considerati quanto meno sconvenienti.

Una improvvisa illuminazione

Ho recentemente letto “Marha Quest” di Doris Lessing, libro che mi è molto piaciuto, ne consiglio senz’altro a tutti la lettura. Voglio qui annotare per me e condividere con tutti la presenza di un brano che descrive mirabilmente un vero e proprio fenomeno di illuminazione, per altro non cercato né perseguito, dalla giovane protagonista. Si tratta di una illuminazione innescata dal contatto diretto con la campagna e con la natura, piuttosto cruda nel suo svolgimento, profondamente essenziale. Al di là della maestria dell’autrice e dalla inusualità del fenomeno, mi ha fatto molto piacere ritrovare qualcosa nella quale profondamente credo, qualcosa che in me ha sempre provocato forti risonanze.
Qui di seguito il brano.

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Logaritmi e sveglie appese al collo

E così anche Odifreddi ha perso oggi una buona occasione per tacere! E lo fa nel peggiore dei modi: aderendo alla pratica della inutile lamentazione. Nel suo articoletto su R2 esprime disappunto per la disabitudine ad usare i logaritmi, sostituiti, a suo dire, dal computer. A parte il fatto che non è vero, semmai è la raccolta delle tavole dei logaritmi ad essere stata sostituita dal computer, cioè il modo di calcolo e non il logaritmo come strumento, non si accorge che la stragrande maggioranza dei suoi lettori, in questa italia ancora così fortemente crociana e gentiliana, non è in grado, per ignoranza, di comprendere “l’estetica logaritmica” invocata. E volendo prescindere anche da questa cruciale mancanza di valutazione, fa veramente un gioco offensivo (anche del selvaggio):

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Tra l’altro tutta la sua posizione è del tutto inutile: nemmeno lui stesso lascerà la calcolatrice per tornare al regolo! Molto più intelligente sarebbe invece domandarsi come trarre vantaggio dalla situazione che si è venuta a creare: maggiore velocità, maggiore precisione, maggiore economicità, etc. Forse minore consapevolezza, questo si. Allora sforziamoci di crearla, questa consapevolezza, tirare in basso certo non serve.

Della scuola, vi scongiuro, dimenticatevene!

A tutti sia consentito parlare di tutto, ci mancherebbe altro! E quindi a tutti è consentito parlare della scuola e di qualsiasi altro argomento possa venire in mente.
Se però un intervento di un illustre e stimato intellettuale viene veicolato da un giornale a grande tiratura la prudenza si rende necessaria e soprattutto si rende necessario il senso e la coscienza di cosa sia opportuno o meno.
Mi riferisco all’intervento di ieri (20 settembre 2013), su Repubblica, di Massimo Recalcati, psicoanalista innovativo di grande e meritata fama che invita i docenti a non fare, in classe, gli psicologi. Ovvero, giustamente, di astenersi dal fare gli psicologi da strapazzo a danno dei malcapitati studenti. Assolutamente daccordo: chi, come me, entra in classe ogni giorno da oltre vent’anni classifica questa convinzione tra quelle sulle quali c’è assoluta chiarezza.
La stessa chiarezza Recalcati mostra chiaremente di non possedere quando si spinge a dire ai docenti anche dell’altro, quando si spinge ad una critica dell’azione didattica rifacendosi direttamente, come accade a quanti non siano specialisti del settore istruzione, alla propria personale esperienza di ragazzo! My god, sarebbe come dire che chiunque di noi sia stato curato da qualche malattia (chi non è mai andato dal medico?), per questo solo fatto è autorizzato e titolato a raccomandare come debba essere svolta la professione medica! E nel caso di aver subito un’operazione? Ci intenderemmo di chirurgia?
Ovviamente le cose non possono stare in questo modo e la palese incompetenza di Recalcati a proposito di scuola si manifesta drammaticamente quando cita “i contenuti dei programmi ministeriali”, rifacendosi ad un concetto gentiliano ancora in adozione negli anni 70 ma ormai abolito da non so più quanto tempo! Potremmo andare avanti, perchè il nostro si spinge a parlare di cognitivismo e di nozionismo confondendo, temo, teorie della conoscenza e pratiche e metodologie didattiche, cita Socrate e l’informatizzazione, tutto toccando sino ad augurare, ad ogni studente, di incontrare la propria Giulia, carismatica docente fasciata da “tailleurino” grigio… Mi unisco senz’altro a questo augurio di erotizzazione scolastica, ma, allo stesso tempo, prego tutti: per favore, dimenticatevi della “vostra scuola”, anzi, dimenticatevi della scuola del tutto! Il danno sarebbe senz’altro minore!

A cosa serve la scuola?

Ho appena finito di leggere qualcosa che sta avendo, almeno a giudicare dai commenti e dai tweets, notevole successo anche in Italia. Si tratta del testo (rilasciato come Oer) “A cosa serve la scuola? Non rubate i sogni” di Seth Godin. Annoto qui di seguito alcune mie insignificanti riflessioni in merito.

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Saperi tradizionali e cultura

La scena è la seguente: in automobile, per le campagne a caccia di soggetti fotografici. Guardandomi in giro ascoltavo, allo stesso tempo, il podcast della puntata di wikiradio sull’iPad ( http://www.radio.rai.it/podcast/A42594994.mp3), lo ascoltavo dall’iPad, guarda caso, collegato alla radio della macchina. E mentre ascoltavo il sempre piacevolissimo Roncaglia spiegare le ragioni dello straordinario successo del dispositivo dal quale sto adesso scrivendo, andava crescendo in me un disagio, uno scontento legato alla discrepanza tra le diverse sensazioni che stavo provando: ammirazione, da una parte, per gli attori del successo dell’iPad e contentezza per esserne un più che soddisfatto utilizzatore; sconforto, dall’altra, per essere ancora una volta investito dai segnali dello sfacelo del nostro (italiano e mediterraneo) tradizionale ambiente: campagne abbandonate, brutture e sporcizia diffuse, ingiustificata alterazione del paesaggio. Ho dovuto per qualche momento interrompere l’ascolto per cercare di focalizzare il pensiero. Perché, mi dicevo, ci sono luoghi dove si riesce a produrre, si riesce a creare innovazione e ricchezza mentre noi, che pure proveniamo da un passato ricchissimo anche considerando i soli beni della cultura materiale, non riusciamo a concludere nulla di buono? Come mai rimaniamo schiavi di mode culturali e sollecitazioni di mercato provenienti dall’esterno mentre la nostra economia e il nostro territorio stanno andando in rovina? Sullo sfondo di questa riflessione la parola “cultura”, un pò confusamente, si ripresentava alla mia attenzione. E così adesso vado a guardare su Treccani.it e a leggere:

Cultura. L’insieme delle cognizioni intellettuali che, acquisite attraverso lo studio, la lettura, l’esperienza, l’influenza dell’ambiente e rielaborate in modo soggettivo e autonomo diventano elemento costitutivo della personalità, contribuendo ad arricchire lo spirito, a sviluppare o migliorare le facoltà individuali, specialmente la capacità di giudizio.

Mi sembra illuminante il riferimento al miglioramento delle facoltà individuali, forse è proprio questo che ci è storicamente mancato. Forse la moltitudine di mestieri e di competenze dei quali eravamo ricchissimi basavano la loro efficacia sulla applicazione di una prassi per lo più senza riflessione, rielaborazione, senza crescita del lavoratore e del cittadino. Diventate inefficaci le prassi per le mutate condizioni socioculturali e infine per la globalizzazione siamo rimasti grezzi e incolti, prede per agitatori e demagoghi di tutte le specie.
E soprattutto incapaci di crescere.

Pochi giorni al voto

Non è mia abitudine parlare di elezioni e di voto ma questa volta sono davvero assai preoccupato! Mi associo in pieno al’appello di Eco:

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Stiamo assistendo a un finale di campagna elettorale drammaticamente pericoloso per il nostro paese: il capo dello schieramento politico responsabile del tracollo economico e sociale in cui versa l’Italia e del suo discredito internazionale, anziché essere isolato e ignorato, è prepotentemente tornato alla ribalta televisiva, nel silenzio dell’autorità competente a regolare la comunicazione politica e nel giubilo di molti mezzi di informazione, assurdamente avidi di commentare, chiosare e rimbalzare le bugie e i vuoti di memoria sparsi a piene mani, con la tipica totale indifferenza per i dati di realtà e per le proprie responsabilità. Il mondo intero guarda con terrore a un ritorno di Berlusconi, caratterizzato da una politica di proposte populiste e isolazioniste, un vero e proprio peronismo del XXI secolo.
Con le bugie e la negazione assoluta della penosa realtà cui i suoi governi hanno ridotto l’Italia – la recessione economica, la disoccupazione, la mancanza di prospettive per i giovani, la descolarizzazione, l’abbandono del patrimonio culturale e dell’ambiente, l’irresponsabile rivalutazione di Mussolini e del fascismo, la corruzione endemica, il potere della criminalità organizzata – Silvio Berlusconi tenta nuovamente di illudere, di circuire, di comprare il consenso degli elettori. Cosa è se non un tentativo di compravendita del consenso la desolante profferta di restituzione dell’IMU?
Il disprezzo per gli elettori non potrebbe, in questa odiosa campagna, essere più evidente: i cittadini italiani – secondo la destra – privi di memoria e a maggior ragione di capacità critica, dovrebbero vendere il loro diritto di scegliere la classe politica che dovrà affrontare i gravissimi problemi del paese in cambio di un’elemosina, pagata per di più con i loro soldi. Poiché ormai tutti sappiamo che per diminuire una voce di entrata dello Stato non si può che aumentarne altre, oppure tagliare ancora di più i servizi sociali.
Ma alcuni diranno che neppure gli altri schieramenti politici che si candidano alle elezioni sono granchè affidabili, vuoi perché negli scorsi anni hanno mal rappresentato l’opposizione ai governi in carica, vuoi perché hanno identità incerta o improvvisata. Non sarà Libertà e Giustizia, che ha sempre cercato, nella sua breve storia, di esercitare al meglio un ruolo di critica e di pungolo nei confronti dei partiti politici, a prenderne ora le difese, e tantomeno a dare indicazioni di voto.
Anzi, non abbiamo dimenticato di aver dichiarato che mai più saremmo andati a votare con questa legge elettorale, nella speranza di ottenere dal Parlamento un gesto di dignità, con l’approvazione di una legge elettorale migliore, più rispettosa della Costituzione e dei cittadini.
Condividiamo dunque molte delle perplessità e critiche alle formazioni politiche che si contrappongono, in questa competizione elettorale, all’impresentabile destra che affligge il nostro paese. E tuttavia sentiamo ora il dovere di richiamare tutti – e in particolar modo i giovani, delusi da uno scenario che offre loro ben poche possibilità di identificazione; coloro che oggi hanno ben più pressanti problemi di mancanza di lavoro e di soldi; gli scettici, che hanno per tante volte esercitato il voto senza vedere mai una gestione del potere degna di un paese civile; gli idealisti, che coltivano aspirazioni e obiettivi ben più alti di quelli che si agitano in questa vigilia di elezioni – alla necessità cogente di superare in modo netto e definitivo l’umiliante fase della nostra storia che si sta chiudendo, ma non si è ancora chiusa.
Quella fase che ha visto il dominio dell’ignoranza, della corruzione, dell’uso a fini privati della ricchezza pubblica, dello sprezzo della magistratura, della menzogna sistematica per nascondere la propria incapacità di svolgere il ruolo che la Costituzione affida ai governi: guidare la comunità nazionale a elevare il proprio grado di civiltà.
Per raggiungere e consolidare l’obiettivo – di farla finita con i governi dei peggiori – Libertà e Giustizia fa appello a tutti i cittadini italiani che condividono la necessità di guardare avanti affinché superando le riserve e le delusioni, decidano di esercitare il loro diritto di voto in queste elezioni, locali e nazionali, a favore di una delle formazioni politiche che si impegnano a contrastare questa destra inetta e illiberale che ancora ci minaccia.
Ma non è questo il solo appello che facciamo ai cittadini italiani: il voto non è una delega in bianco! E per esercitare un controllo sul potere politico occorre rimanere attivi, informati, critici: occorre imparare, da cittadini, a chiedere e a protestare, a creare reti e legami, a far sentire la propria voce. Il nostro paese dovrà nei prossimi anni affrontare problemi molto impegnativi: ricostruire una propria missione nel mondo globalizzato e riparare il proprio tessuto sociale, liberandolo da criminalità e corruzione. Imprese tanto grandi non possono essere delegate, richiedono – per riuscire – l’impegno di tutti in prima persona.
Dunque, il voto del 24 e 25 febbraio è solo un primo, ma indispensabile passo.

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